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Cosa significa fare (davvero) team building?

09/11/2018

 

Team building: un’attività strategica o l’ennesima moda passeggera?

Quando si parla di attività di team building spesso si contrappongono diverse correnti di pensiero: da chi la ritiene un investimento sprecato a chi la vede come un’attività dagli innumerevoli benefici.

Digitando la parola “team building” sui motori di ricerca, emerge un po’ di tutto: dalle più classiche giornate di paintball, escape room e orienteering fino ad arrivare a corse sui carboni ardenti e zen training (scelta che risulta essere popolare tra alcuni dei più eclettici HR manager statunitensi).

In questo caos di informazioni, più che un’attività strategica, in prima battuta mi è parsa un’esercitazione di fantasia, o per dirla alla Verdone, una sfida dove vince semplicemente chi “o fa più strano”. 

 

 

Allora proviamo a fare un po’ di chiarezza insieme.

Che cos’è realmente il team building? Wikipedia lo descrive come un insieme di attività formative, variamente definite come team game, team experience, team wellbeing (ludiche, esperienziali o di benessere), il cui scopo è la formazione di un gruppo di persone”. Un momento di formazione, quindi, che punti a rafforzare i legami tra i dipendenti. Facile da descrivere sulla carta, meno facile, nel concreto, trovare il giusto equilibrio. 

Sì, perché ci vuole poco a passare da un evento di formazione ad un disastro preannunciato.

Quali elementi possono fare la differenza? Il primo è certamente l’attenzione verso il dipendente la persona. Portare 20 persone dell’azienda a Londra, per esempio, farli alloggiare in un costoso hotel e insegnare loro la Haka, danza tradizionale neozelandese, non li spingerà a rafforzare i legami interni, considerando che la scelta dell’attività è probabilmente avvenuta senza tenere conto delle loro preferenze e inclinazioni individuali.

«Eventi come questi possono portare le persone a sentirsi più vicine per un po’; condividere le emozioni può spingere le persone a legare. Questi legami, però, non resistono alle pressioni quotidiane di un’organizzazione focalizzata sul raggiungimento dei risultati» scrive Carlos Valdes-Dapena su HBR.

Come fa team building una startup? Ecco la nostra esperienza

Ed ecco che, nel bel mezzo della mia ricerca sul reale impatto del team building, a fine giugno, mi si presenta l’opportunità di viverne uno insieme a tutto il team di Just Knock.

La mia prima reazione? Spinta da paura e diffidenza la mia mente mi proietta automaticamente tra i protagonisti del disastroso tentativo di team building guidato da Steve Carell nella serie The Office US.

 

 

Cercando di non farmi prendere dal panico, decido di provare a mettere da parte la diffidenza. Questa, in fondo, avrebbe potuto essere la mia occasione per provare di persona il team building e trovare le risposte ai miei dubbi.

Per l’occasione non siamo volati a Londra ad imparare l’Haka, ma ci siamo ritrovati all’Accademia del Comico  a Milano, per una giornata di workshop formativo. Ammetto che, trovandomi davanti al posto in cui avremmo trascorso le nostre successive 8 ore, non sapevo proprio cosa aspettarmi. Tra il dubbioso e l’incuriosito, dopo un caffè al bar difronte, decido di varcare la porta con l’idea di mettermi completamente in gioco. E così effettivamente è stato.

Durante le 8 ore guidate da Claudio, comico e direttore dell’Accademia, abbiamo battibeccato e spremuto le meningi per decidere chi fossero le persone più strategiche da spedire nello spazio al fine di salvare il genere umano e conservare la specie. Ci siamo poi immedesimati nei ruoli dei nostri colleghi, abbiamo disegnato con pennarelli colorati come ci saremmo immaginati la nostra azienda tra un paio d’anni e abbiamo cercato di risolvere un test di 50 domande in 3 minuti, solo per poi scoprire che bastava leggere le istruzioni con più attenzione per capire che l’ultimo compito della lista ci avrebbe evitato i primi 49.

 

 

Ci siamo messi in discussione e ci siamo raccontati, abbiamo giocato e attivato il pensiero laterale, abbiamo parlato e ascoltato. Tutte queste attività ci hanno permesso di imparare a conoscere nuovi lati delle persone con cui lavoriamo gomito a gomito tutti i giorni, ma soprattutto ci hanno aiutati a conoscere meglio sfumature inedite di noi stessi. Insomma, nulla a che vedere con danze neozelandesi e cadute della fiducia (devo ammettere con mio grande sollievo). 

La nostra giornata si conclude con un ultimo compito: “Costruite qualcosa con il materiale che trovate nella stanza”. Con questa scarna indicazione, Claudio ci lascia un po’ smarriti, ma liberi di esprimere al massimo la nostra fantasia. E’ proprio in questo momento che ho potuto vedere ciascun componente del team attingere a pieno all’emisfero destro del cervello (chi l’avrebbe detto che un CFO può essere creativo quanto un Marketing Manager?).

Ed ecco che 15 minuti, una chitarra, qualche maschera, cappelli a cilindro e un paio di versi in rima, sono bastati per mettere in scena un Musical Pitch!

 

 

 

Prima di entrare da quella porta, non avrei mai avrei pensato di uscire canticchiando con una sensazione di leggerezza. Ecco, forse questo è il bello del team building: riuscire a trovare qualcosa che non stavi cercando.

Al prossimo team building!

 

       

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